mercoledì 5 giugno 2013

Death SS / Esce oggi Resurrection

Death SS / Esce oggi Resurrection
FONTE : www.metallized.it

E’ stata un’attesa quasi spasmodica, ma al tempo stesso stimolante, quella che ci ha portati ad oggi, giorno ufficiale del ritorno sulle scene dei Death SS. Tra i più contestati ed amati nel nostro scenario musicale italiano, hanno senz’altro l’innata capacità di attrarre a sé le attenzioni di chi, fan sfegatato, li esalta o di chi, critico irremovibile, li ha da sempre osservati con sguardo scettico.
La curiosità di sapere come questo Resurrection suonasse si è instillata dal primo momento in cui, lo scorso 21 dicembre, la band ha deciso di diffondere il singolo che anticipava la release, The Darkest Night, distribuito successivamente con un EP omonimo in 666 copie.

L’ascolto dell’EP aveva fatto maturare alcune ipotesi su quali sarebbero potute essere le articolazioni sonore del full length, nonostante Steve Sylvester avesse a più riprese precisato come i due lavori fossero talmente diversi da necessitare una lettura ed un approccio all’ascolto altrettanto differenti. Nonostante questo avvertimento, brani come Witches’ Dance mi avevano talmente tanto conquistata, nell’essere così indelebilmente impregnati di venature elettroniche, che mi accingo ad iniziare l’ascolto convinta di trovarmi di fronte ad un continuum di quanto avevo già potuto saggiare.

Così, con una certa trepidazione, premo play…

Sarà sufficiente ascoltare le prime note dell’opener Revived per sentire tutti i mattoncini del castello sgretolarsi nella mia testa. Mi sento completamente disorientata davanti a qualcosa di totalmente inaspettato e la sensazione di stordimento mi perseguiterà per tutta la durata dell’ascolto.
La nuova creatura della band fronteggiata da Steve è tutto fuorché una release scontata e prevedibile: Resurrection, infatti, seppur rispettando a pieno il filone tematico che tanto ha reso celebre il gruppo, si presenta con una personalità molto forte e ben distinta ed è l’ennesima ibridazione musicale dei Death SS, nella quale la band flirta con il rock’n’roll, l’industrial, il gothic e sfumature più progressive con una naturalezza davvero singolare.
Ciò che ne deriva è senz’altro un’estrema eterogeneità dell’album, che lo rende anche di più difficile assimilazione. Non sarà, infatti, sufficiente un unico ascolto per maturare una qualsiasi opinione, in quanto solo con successive repliche si sarà davvero in grado di percepire l’opera nella sua interezza ed in tutte le sue sfaccettature.

Molte delle track qui racchiuse sono state concepite in tempi cronologicamente diversi, avendo avuto una gestazione di ben quattro anni complessivi per raggiungere un quantitativo di materiale di qualità sufficiente per comporre un ritorno degno del nome Death SS. Un senso di discontinuità resterà tuttavia percepibile, nonostante il lavoro di mixaggio finale abbia livellato le diversità e conferito una certa unione a tutti i brani. Si passa, infatti, dagli scenari electro dark e gothic di The Crimson Shrine e Dionysus alla durezza heavy metal di The Darkest Night, agli scenari orrorifici di Eaters, fino ad arrivare all’eleganza di The Song Of Adoration. The Crimson Shrine, articolandosi in una sovrapposizione molto interessante tra le tastiere e la soffice voce della corista, è un omaggio crowleriano al dio Pan, che il noto occultista ha celebrato nel suo Hymn to Pan, esaltando la potenza e la bestialità della divinità mitologica, che stupra e strappa e infuria eternamente, manichino, fanciulla, ninfa, uomo. Echi di una sessualità estrema sono ravvisabili anche nel quarto brano, dove la citazione al dionisiaco impulso alla vitalità, all’ebbrezza ed all’estasi ci fa percepire la similarità tra Pan e Dioniso, da sempre insieme a Priapo imbevuti di forti connotazioni erotiche nell’immaginario folkloristico. Tutti temi noti e già affrontati durante il percorso artistico della band e che senza dubbio ci fanno venire in mente l’album Panic (che è necessario tradurre come “panico”, ossia collegato alla divinità di Pan e non, erroneamente, come se avesse qualche attinenza alla paura) nel quale lo stesso Sylvester in copertina assume sembianze a metà tra uomo e caprone.
Ciò che è palese dopo aver apprezzato i primi pezzi di Resurrection è che saranno le chitarre di Al De Noble a traghettarci come il Caron Dimonio in questa discesa infernale, sensazione che trova appiglio anche nella struttura dei successivi brani musicali, dove gli assoli del chitarrista hanno la capacità di enfatizzare e talvolta sovvertire le atmosfere, rivestendo un ruolo quasi preponderante, ma avendo l’intelligenza di conservare una collocazione secondaria laddove ad affiorare indiscusse sono le tastiere di Freddy Delirio.
La sfrontatezza di Eaters, scritta come colonna sonora per il film splatter-zombie del regista tedesco Uwe Boll, la rende certamente uno dei brani più riusciti della release, insieme alla suggestiva ed inquietante Ogre’s Lullaby, dove il carillon intersecato con le pesanti e ronzanti chitarre fa crescere un senso di profondo disagio: il pezzo racchiude in sé qualcosa di maligno, l’atmosfera è cupa ed asfissiante. Le influenze più rockeggianti le avremo, invece, con Santa Muerte, che sia nel titolo che nell’incipit iniziale -in cui sembra quasi di ascoltare il parlottare di narcotrafficanti messicani- denuncia un tributo al culto ispanico della morte, molto sentito proprio tra i narcos e talmente radicato nella cultura popolare messicana da essere stato da sempre condannato dalla Chiesa Cattolica, in quanto considerato quasi al pari di una setta, per l’ossessiva ed esclusiva venerazione che gli adepti riservano alla Santissima Morte.
Ma veniamo al pezzo migliore tra i dodici proposti in Resurrection: The Song Of Adoration, al pari di uno schiaffo, destabilizza il sottile equilibrio che credevamo di esserci lentamente costruiti, rinnovando la sensazione di turbamento che avevo provato all’inizio di questo viaggio musicale. Oltre che essere il brano più lungo (nove minuti), è anche il più completo ed è una perfetta summa di ciò che i Death SS sono stati e di ciò che sono diventati dopo le continue mutazioni. L’incipit con i fiati ci catapulta in ambientazioni egiziane ed ha lo stesso effetto incantatore che il pungi indiano ha sui serpenti per le strade di Nuova Delhi. E’ senza dubbio un’opera a sé, che riusciamo ad apprezzare nella sua totalità anche grazie alla collocazione nella tracklist in mezzo a brani come The Devil’s Graal e Precognition, che nel loro essere così diversi e quasi opposti al loro intermediario, incuneano la track e la elevano nella sua grandezza ed eleganza di diamante grezzo. Concludiamo con Bad Luck, divertissement in cui Steve Sylvester con ghigno autoironico rivolge una dedica a tutti coloro che in questi anni hanno legato il nome dei Death SS ad un qualcosa non propriamente di “buon auspicio”, giocando con i cliché della superstizione -come l’essere nati in giorno sfortunato come il venerdì- ed avvalendosi di una piacevole base rock’n’roll .

Giunti al termine del nostro ascolto, risulta complicato descrivere in maniera unitaria tutta la release. Le track, seppur connesse tra loro dalle tematiche e dal filone della filmografia, in quanto in gran parte studiate come soundtrack per film o serie tv, impongono con arroganza la loro indipendenza reciproca. Rimandi alla cinematografia vengono anche evidenzianti nello stile fumettistico della copertina, quasi la locandina di un horror movie anni ‘70/’80, grazie anche al prezioso contributo di Emanuele Taglietti, autore di molte copertine di fumetti sexy/horror italiani, che nell’artwork ripropone in primo piano la voluttuosa Belzeba.

Nonostante la molteplicità di stili ed ambientazioni che lo rendono un album discordante, nel quale apparentemente manca un trait-d’union, Resurrection resta un lavoro molto ben organizzato, complesso, che non mancherà di far discutere e di dividere nelle opinioni. In puro stile Death SS.

Non mi resta quindi che dire… Bentornati.

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